Romano, l'uomo
Romano Battaglioli nasce in provincia di Piacenza, a Lugnano Val d’Arda, il 27 Febbraio del 1937. In realtà, le origini della famiglia Battaglioli sono legate all’appenino tosco-emiliano: il padre, Diego Battaglioli, è originario di Stagno (Bo), un delizioso paese, frazione di Camugnano, che domina dai suoi 722 metri di altezza il Lago di Suviana, mentre la madre, Italia (ma conosciuta come Clorinda) Borri proviene da Treppio, frazione di Sambuca Pistoiese.
Il papà Diego svolge il lavoro di Guardia Forestale, ed è il suo peregrinare per motivi professionali a determinare la nascita di Romano in provincia di Piacenza, fino all’approdo in giovanissima età nella città di Prato, nel cui centro storico Romano crescerà e vivrà tutta la vita, sentendola orgogliosamente sua.
Cresce insieme ai suoi otto fratelli e sorelle, con i quali rimane sempre legato, alternando nella sua adolescenza una serie di piccoli umili lavori, dando poi una mano nella storica attività di famiglia – l’edicola di Piazza Mercatale – fino allo sbocciare della sua prima grande passione artistica: la musica ed in particolare la batteria.
Dotato di un incredibile senso ritmico, capace di suonare ad altissimi livelli praticamente senza conoscere un solo rigo di musica ed affidandosi interamente al suo talento naturale che mai lo tradirà, Romano per 12 anni (dal 1955 al 1967) lavora, divertendosi, in tutta Italia ed in giro per il mondo. Suona nelle principali orchestre da ballo che negli anni ’60 allietano le serate italiane, come quella di Roberto Savelli, di Sergio Nanni ed i Dandies; il “Romanino” di Piazza Mercatale ha il jazz nel sangue, ed ha anche la fortuna di poter accompagnare, nelle lunghe nottate dei principali night club italiani, alcuni mostri sacri della storia jazzistica quali Gerry Mulligan, Dinah Washington e Billy Cronk, per citarne alcuni.
Alla fine degli anni ’50, Romano finisce sulle pagine dei rotocalchi nazionali non solo per essersi fatto fotografare in mutande nella mitica Via Veneto (è già il Romano estemporaneo e genialmente folle che conoscevamo ai giorni nostri…), ma anche per la parte ottenuta nel film “I Teddy Boys della Canzone”, regia di Domenico Paolella, regista che scopre le qualità musicali ed umane di Romano, vero show-man fin da giovanissimo. E’ un film con tante canzoni interpretate dai principali cantanti del momento quali Tony Dallara, Mina, Celentano e Little Tony. Romano è protagonista di un travolgente assolo di batteria, rigorosamente “live”, al termine di una canzone interpretata da Brunetta, allora quindicenne cantante urlatrice: ancor oggi l’assolo è ascoltabile anche su Youtube.
Solo più tardi scopriremo, dai suoi racconti, che l’irriverente ed irrefrenabile Battaglioli, all’epoca diciannovenne, partecipò al film dopo una colossale bevuta di vino con gli amici, prima vera testimonianza della sregolatezza che spesso si accomuna al genio, e dell’incapacità assoluta di Romano di vivere secondo schemi prestabiliti.
Proprio girando l’Italia con la sua inseparabile batteria, Romano alla fine degli anni ’60 conosce e si innamora di quella che sempre definirà come la sua unica e vera regina, la moglie Nadia Tognon. Nadia è di Grado, la cosiddetta “isola del sole”, vero paradiso marino situato tra Venezia e Trieste, dove Romano si esibisce nelle serate estive del 1958. Lì si sposeranno, due anni dopo, in un indimenticato 24 Settembre del 1960, festeggiando nel 2010 mezzo secolo di vita trascorsa insieme. Due i figli: Marco (1963) ed Alessandro (1972).
Proprio negli anni ’60, Romano inizia a dipingere: la pittura e la scultura diventeranno protagoniste assolute della seconda ed intensa parte della sua vita, dopo il ritiro da musicista nel 1967 (il suo posto come batterista verrà preso da un altro grandissimo talento, Tullio De Piscopo) in seguito ad un brutto infortunio alla gamba. Come pittore e scultore, Romano arriva all’apice del suo percorso artistico alla fine degli anni ’70: una serie di personali importanti (Milano, Bologna, Pescara, Como, Lussemburgo, Trieste) che ne determinano la consacrazione a vero artista, elogiato e stimato sia dalla critica che dal pubblico. Le sue opere finiscono nelle collezioni private di tutto il mondo, ma è a Prato, nella sua città, che Romano inventa e realizza una delle sue più belle mostre di sempre, nel Chiesino di San Jacopo: è il 1981. Tre anni più tardi, arriverà un’altra grandissima esposizione nel museo del Cenacolo di Ognissanti, a Firenze, dove secoli di evoluzione artistica si fondono in un connubio travolgente di sensazioni tra i calvari e le solitudini del Battaglioli ed il superbo sfondo dell’ “Ultima Cena” di Domenico Ghirlandaio, in una travolgente ricerca di luminosità lunga un mezzo millennio.
Nel 1986, pochi mesi prima dei primi due grandi e debilitanti interventi chirurgici cui sarà sottoposto in Agosto e Novembre di quell’anno, Romano dona al Papa Giovanni Paolo II, in visita a Prato, un bassorilievo in onice bianco che rappresenta il Calvario del Cristo che porta la croce. E’ il momento più alto del percorso artistico e spirituale del pittore pratese, in cui la continua, quasi ossessiva e mai doma testimonianza della fede e della speranza Cristiana sfociano negli occhi di Karol Józef Wojtyła, il cui abbraccio ed i cui elogi vengono interpretati da Romano come una vera e propria ufficiale benedizione divina per il messaggio di fede sempre presente nelle sue opere.
In seguito ai problemi di salute, il Battaglioli non è più in grado si scolpire la dura pietra, né di girovagare per l’Italia nelle esposizioni personali delle proprie opere: decide quindi di aiutare il fratello Giovanni prima ed in seguito la moglie Nadia nell’attività di famiglia, l’edicola, dalla quale Romano stesso era partito circa 30 anni prima. L’edicola diventa così una specie di esposizione permanente, in evoluzione continua, dove Romano mostra con orgoglio ogni opera e tecnica nuova.
Si rafforza l’immagine del Battaglioli icona di Piazza Mercatale e di Prato: sempre in giro per il centro con la sua amata bicicletta, piena zeppa degli adesivi del suo amatissimo e quasi sacro Milan, spesso in contromano con le borse piene di cornici per i suoi quadri infiniti, pronto ad omaggiare ogni sconosciuto con una riproduzione delle sue opere e a dispensare consigli di vita e saluti a tutti, nessuno escluso. Il passaggio all’edicola del Mercatale diventa per molti quasi un rito, un confronto irrinunciabile con il dirompente entusiasmo e la insospettabile – a prima vista – profondità di un uomo, Romano, il cui segno rimane indelebile nell’anima di molti.
Diavolo e santo, pronto alla toscana bestemmia ma testimone inesauribile di fede Cristiana, Romano amava circondarsi di gente, che spiazzava con un’ironia irrefrenabile, pronto a volerti bene ancor prima di conoscerti. Sprezzante con i potenti, in particolare della casta artistica, rincorreva unicamente il giudizio ed il consenso disinteressato della gente comune, sia come uomo che come artista, fermo nel suo credo che l’arte è tale se riesce a coinvolgere anche – o soprattutto – le persone più semplici.
Come semplice era il Battaglioli, la cui felicità era unicamente dettata da un buon bicchiere di vino, l’irrinunciabile sigaretta e la compagnia della moglie Nadia, vero pilastro di concretezza asburgica nell’astratta concezione di vita del Maestro.
Romano muore, accanto all’amata Nadia, in un giovedì sera di Luglio del 2011, dopo una breve ma intensa agonia. Pochi giorni prima, imbottito di morfina e sonniferi, accenna con la testa e le dita il battere del ritmo di un Mambo; ancora pochi giorni prima, con la bombola dell’ossigeno accanto, improvvisa un ritmo sudamericano ai parenti presenti con un semplice cucchiaio ed un pezzo di legno, in un ultimo e squarciante inno alla bellezza della vita, per lui composta da ogni forma di arte e di amore, di geniale improvvisazione e capacità di saper vivere a fondo e con gioia ogni attimo, consapevole che si è solo di passaggio verso il sublime culmine del ricongiungimento a quel Dio presente in ogni sua opera e parola.